Vivere il viaggio come una fuga dalla realtà, lo confesso, mi è capitato spesso. Il rito di sradicamento inizia per me fin dalla partenza, durante l’attesa all’areoporto… già mi prefiguro nuovi orizzonti, nuove avventure, nuovi pensieri. E la metafora del viaggio come alleggerimento da ogni fardello, iniziazione ad una nuova vita, si esprime perfettamente nell’atto liberatorio del volo…
Ricordo bene i primi viaggi adolescenziali, brevi vacanze nelle case degli amici, fughe da una casa all’altra, da una famiglia all’altra… vennero poi i primi pellegrinaggi, il giro del Nord Europa con 4 amiche, 4 grandi zaini e tanti sogni, le escursioni in solitario delle grandi capitali europee, l’esperienza oltroceano, dove il desiderio di perdermi mal si conciliava con l’incertezza e la paura del rischio… Vennero poi altri viaggi, per dimenticare la fine di un amore, elaborare un lutto, scoprire altri mondi, riconciliarmi con me stessa.
Sul tema del viaggio mi tornano in mente le belle parole di Seneca, rivolte al giovane Lucilio, sulla necessità di raggiungere la tranquillità dell’animo prima di ogni altra azione e quindi prima di “agitarsi” in questo mondo.
Sono parole sagge, frutto dell’esperienza di un uomo che ha vissuto vicende alterne di successo e fallimento, fama e oblio, culminato nel forzato esilio in Corsica. Più di una volta ho reso omaggio al grande filosofo inerpicandomi fino alla torre in cui soggiornò per 8 anni per volere di Agrippina.
Ecco come Seneca incitava il giovane Lucilio ad affrontare la propria vita:
Credi che questo sia capitato soltanto a te e ti meravigli come di una cosa straordinaria che, nonostante le tue preregrinazioni così lunghe e tanti cambiamenti di località, non ti sei scrollato di dosso la tristezza e il peso che opprimono la tua mente? Devi cambiare d’animo, non di cielo. Puoi anche attraversare il mare… (…) ebbene, i tuoi difetti ti seguiranno ovunque andrai. A un tale che esprimeva questa stessa lamentela Socrate disse: “Perché ti stupisci, se i lunghi viaggi non ti servono, dal momento che porti in giro te stesso? Ti incalza il medesimo motivo che ti ha spinto fuori di casa, lontano”. A che può giovare vedere nuovi paesi? A che serve conoscere città e luoghi diversi? E’ uno sballottamento che sfocia nel vuoto.
Domandi come mai questa fuga non ti è utile? Tu fuggi con te stesso. Devi deporre il fardello che grava sul tuo animo, altrimenti prima non ti piacerà alcun luogo.
(…) Vai di qua e di là per scuotere il peso che ti sta addosso e che diventa ancor più fastidioso in conseguenza della tua stessa agitazione. Analogamente su una nave i pesi ben stabili premono di meno, mentre i carichi che si spostano, rollando in modo diseguale, mandano più rapidamente a fondo quella parte su cui essi gravano.
Qualunque cosa tu faccia, la fai contro di te e con lo stesso movimento ti arrechi un danno: infatti stai scuotendo un ammalato. Ma quando ti sarai liberato da questo male, qualsiasi cambiamento di località diverrà un piacere. Ti releghino pure nelle terre più lontane; ebbene, in qualsivoglia cantuccio di terra barbara in cui ti troverai per forza ad abitare, quella sede, quale che sia, ti sarà ospitale. Più che la meta del tuo viaggio importa lo spirito con cui l’hai raggiunta, e pertanto non dobbiamo subordinare il nostro animo ad alcun luogo.
Bisogna vivere con questa convinzione: “Non sono nato per un solo cantuccio di terra, la mia patria è l’universo intero”.
dalle Epistulae morales ad Lucilium, Liber Tertius, epistula XXVIII, di Lucio Anneo Seneca (trad. di Fernando Solinas)
Lascia un commento