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Archive for the ‘citazioni’ Category

Piano piano imparai ad amare le parole col gusto che il musicista ha per i suoni e i timbri, il pittore per i colori e gli impasti, lo scultore per le forme e la pelle della materia; ma in più c’era tutta l’infinita ricchezza semantica, il mondo sconfinato dei pensieri e dei sentimenti che le parole risvegliano e rimettono in moto, che sono capaci di evocare con precisione terribile o vaghezza dolcissima. La parola era infine un tesoro o una bomba.  Ma soprattutto era una camella, qualcosa da rigirare tra lingua e palato con voluttà, a lungo, estraendone fiumi di sapori e delizie.

 

da Il gioco dell’universo. Dialoghi immaginari tra un padre e un figlia, di Dacia Maraini

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“Il mare non sa niente del passato. Sta lì, non ci chiederà mai di spiegargli nulla. Le stelle, la luna, stanno lì, e continuano a illuminarci, brillano per noi. Che cosa vuoi che importi, a loro, quello che è successo?   Ci fanno compagnia e ne sono felici.”

da La Cattedrale del Mare di Ildefonso Falcones

Barcellona ti incanta, ti rilassa, ti stupisce. C’è un angolo per ogni stato d’animo, uno spazio di espressione per ciascuno, indistintamente.  Il mare e il vento ti aprono all’orizzonte, e pare di aprirsi all’infinito.

Ogni angolo parla ed evoca dolori e passioni. I suoi quartieri, le ombreggiate piazzette del barrio gotico, vere oasi di pace, l’intrico di viuzze del Raval, piccola Babele di lingue, religioni e tradizioni. I frammenti del passato, le tombe romane, il vecchio porto, ti ricordano la storica vocazione di questa città,  prima accampamento romano e poi luogo di intensi scambi mercantili.

I promontori, le dolci colline del Montjuic, il più irto Tibidado, dominano la città per proteggerla e riservano meravigliose scoperte.

Voglio tornare spesso in questo paradiso di sapori, profumi, colori e brusii…Barcellona cara, da sempre meta di amanti e giovani avventurieri, metropoli laboriosa e creativa, mi auguro possa conservare a lungo la tua soave allegria e autentica bellezza!

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Il “quartiere delle Gabbie” era molto peggio di come me lo ero immaginato. Lo conoscevo attraverso alcune fotografie di un fotografo celebre e pensavo di essere preparato alla miseria umana, ma le fotografie chiudono il visibile in un rettangolo. Il visibile senza cornice è sempre un’altra cosa. E poi quel visibile aveva un odore troppo forte. Anzi, molti odori.

Da Notturno indiano di Antonio Tabucchi

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La maggior parte degli uomini, Kamala, sono come una foglia secca che si libra e si rigira nell’aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c’è vento che le tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino.

da Siddharta di Hermann Hesse

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“Abbiamo bisogno di grandi progetti, di grandi visioni e di stimolare la fantasia della gente. Dobbiamo tornare ad avere fame di avventura e di scoperte. Dobbiamo ricominciare a guardare in direzione delle stelle, perchè significa alzare la testa, avere la vista lunga e immaginare altri mondi”.

Citazione di Giovanni Bignami, intervistato da Mario Calabresi nel suo bel libro intergenerazionale Cosa tiene accese le stelle. Storie di italiani che non hanno mai smesso di credere nel futuro, Mondadori 2011.

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“A me piace presentare la cucina come metafora della cultura. Mi spiego. Mangiare significa ammazzare e ingoiare un essere, animale o vegetale, che prima era vivo.
Se divorassimo direttamente l’animale morto o la lattuga sradicata, ci definirebbero dei selvaggi. Se invece, prima di cuocerlo, mariniamo l’animale con un bouquet aromatico di erbe di Provenza,
inondandolo di aceto, allora abbiamo realizzato un’operazione culturale perché ipocrita come la cultura del nostro tempo. E ben sappiamo che Pepe Carvalho nutre un amore-odio per la cultura, tanto che solitamente consuma le sue raffinatissime cene ‘ipocrite’ al bagliore di caminetti accesi con pagine di libri ‘ipocriti’.”

da un’intervista a Manuel Vazquez Montalban 

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Da Afrodita. Racconti, ricette e altri afrodisiaci

Una notte del gennaio 1996 sognai di tuffarmi in una piscina colma di riso al latte (…) in cui nuotavo con la grazia di un delfino. È il mio dolce preferito – il riso al latte, non il delfino – tanto che nel 1991, in un ristorante di Madrid, ne ordinai quattro porzioni e poi una quinta, come dessert. Le mangiai senza batter ciglio, con la tenue speranza che quel nostalgico dolce della mia infanzia mi aiutasse a sopportare l’angoscia della grave malattia di mia figlia. Né la mia anima né mia figlia ne trassero giovamento, ma nella mia memoria il riso al latte rimase associato al conforto spirituale. Nel sogno, invece, non c’era nulla di sublime: mi tuffavo e quella crema deliziosa mi accarezzava la pelle, scivolava tra le mie pieghe e mi riempiva la bocca. Mi svegliai felice e mi gettai su mio marito prima che il poveretto potesse rendersi conto di quello che stava succedendo. La settimana successiva sognai che posizionavo Antonio Banderas nudo su una tortilla messicana, lo condivo con guacamole e salsa piccante, lo arrotolavo e me lo mangiavo con avidità. Questa volta mi svegliai terrorizzata. E dopo poco sognai… beh, è inutile proseguire; vi basti sapere che quando raccontai a mia madre queste nefandezze, mi consigliò di andare da uno psichiatra o di rivolgermi a un cuoco. Ingrasserai, aggiunse, e così mi decisi ad affrontare il problema con l’unico rimedio che conosco alle mie ossessioni: la scrittura.
Dopo la morte di mia figlia Paula, trascorsi tre anni a tentare di esorcizzare la tristezza con rituali inutili. Per me furono tre secoli, durante i quali avevo la sensazione che il mondo avesse perso i colori e che un grigio universale si stendesse inesorabile sulle cose. Non so ricostruire con precisione il momento in cui ricomparvero le prime pennellate di colore, ma quando ripresi a sognare di mangiare, capii che ero prossima alla fine del lungo tunnel del dolore, e che stavo per riemergere dall’altra parte, in piena luce, con una voglia incontenibile di tornare al cibo e ai giochi amorosi. E così, poco a poco, chilo a chilo e bacio a bacio, prese corpo questo progetto.
Per la parte che mi spetta di questo lavoro di squadra, la ricerca è necessaria. Non mi sto lamentando. Nella vasta bibliografia che ho a portata di mano ho scoperto un sacco di cosette che non avrei mai immaginato… Ho scritto queste pagine in una stanza della mia casa perché all’inizio non volevo che le pile dei libri con le esplicite illustrazioni facessero bella mostra di sé nel mio ufficio sotto lo sguardo dei miei virtuosi collaboratori e dei visitatori occasionali. Dato che non desideravo nemmeno esibire quel materiale in casa, lo tenevo sotto chiave, ma a mano a mano che familiarizzavo con tutte le posizioni possibili e impossibili per fare l’amore, così come con ogni sorta di espediente, filtro, balsamo, lozione, spezia, erba, droga, piuma di struzzo e caramella dalla forma fallica che il mercato offre, i libri iniziarono a circolare liberamente da tutte le parti e i miei nipoti, creature innocenti ancora lontane dall’età della ragione, giocavano a farci delle costruzioni, come se fossero mattoni perversi di una nuova torre di Babele. Dopo averli avuti tanto sotto gli occhi, non c’è più niente che possa turbare né me, né i miei nipoti.

Consolazione di riso al latte

Ti ricordi il mio sogno del riso al latte all’inizio del libro? Non riesco a immaginare un dolce altrettanto sensuale… Questa ricetta è per otto persone, ma mi sembrerebbe un crimine cucinarne meno. Io posso divorarlo tutto quanto senza battere ciglio e non vedo perché dovrebbe essere diverso per te, lettore o lettrice. Se proprio dovesse avanzarne un po’, puoi conservarlo in frigorifero o meglio, se non ti manca il buon umore, ricoprire il tuo amante dalla testa ai piedi con i lussuriosi chicchi per poi leccarli con dedizione certosina. In un caso come questo, si può decisamente chiudere un occhio sull’eccesso di calorie.

Riso al latte

Esecuzione:
Lascia a bagno il riso nell’acqua tiepida per mezz’ora. Scolalo. Fallo bollire nel latte con il bastoncino di cannella fino a quando sarà morbido (più o meno per mezz’ora). Unisci lo zucchero e la scorza di limone e lascia bollire piano a fuoco basso, mescolando di tanto in tanto per non farlo attaccare fino a quando si sarà asciugato (su per giù un’altra mezz’ora). Mettilo in un piatto di portata, lascialo raffreddare in frigorifero e prima di servirlo copri con un velo di cannella in polvere.

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Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta: Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si prìpara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre.

da Gli arancini di Montalbano di Andrea Camilleri

 

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“Ciò che è essenziale è il presupposto che le idee e le emozioni (in un senso molto lato del termine) abbiano una loro forza e realtà. Esse sono ciò che noi possiamo conoscere e al di fuori di esse non possiamo conoscere nulla. Le regolarità o leggi che legano insieme le idee: ecco le verità. Esse sono la nostra massima approssimazione alla verità ultima”.

Gregory Bateson


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